VERONICA.
È il 21 luglio 2020, siamo nel reparto di Neuropsichiatria infantile dell'istituto "La Nostra Famiglia", polo di Bosisio Parini. Dopo una settimana di ricovero diagnostico, ci troviamo nello studio della neuropsichiatra, pronti a essere dimessi e ad ascoltare il verdetto. Papà è collegato online – c'è il Covid e ho potuto accedere solo io con Sebi.
Le parole "Spettro autistico, livello 2" echeggiano come un macigno. Dopo un momento di silenzio, papà pone la domanda che avrei fatto io e che farebbe qualsiasi genitore: quali sono le prospettive? Avrà una vita autonoma? Dovremmo tenerlo per mano e cambiarlo quando avremo 80-90 anni? La risposta non era quella che ci aspettavamo: "Questo non si può sapere, dipenderà dal percorso che farà e dalle risorse che sarà in grado di sviluppare."
Preparo le borse e lasciamo la struttura, torniamo a casa. La sensazione è ovattata. Per quanto possa essere antipatica una settimana in ospedale, mi manca già quell'ambiente protetto, quelle mamme che in ricovero con noi hanno sentito quella frase e si fanno forza, quelle che ancora la devono sentire.
Stiamo tornando a casa con una cosa grande da affrontare. Innanzitutto dobbiamo cambiare qualche programma: avevamo ancora un anno per iscrivere Sebi alla materna presso la scuola che frequentava Niccolò, che parte dai 4 anni di età, ma la neuropsichiatra ci ha consigliato di iscriverlo subito a settembre.
Un altro pensiero che distoglie dalla difficile diagnosi è la burocrazia, la complicatissima burocrazia italiana peggiorata dalla pandemia: la richiesta della 104, dell'invalidità, il sostegno, ASL, INPS, tutto da fare un po' via mail, un po' di persona, un po' senza che nemmeno loro sappiano come. Gli uffici sono chiusi al pubblico – ti arrabatti, fai ore al telefono a capire cosa mandare, dove e chi deve preparare ciò che devi inviare.
Tutte le carte hanno un iter e io della scuola non capisco nulla. Prendo appuntamento alla scuola dell'infanzia del comune in cui eravamo residenti, sperando in qualche aiuto burocratico, ma la sensazione è che ne sappiano quanto me – l'atteggiamento è quello di "beh, il problema è suo non nostro, quindi ci dica lei di cosa ha bisogno e che carte ci deve portare." Sono avvilita. Contatto una conoscente che ha lavorato per tanto tempo all'infanzia del nostro comune, ora in un altro istituto comprensivo. Dopo un attimo di riflessione, mi propone una persona, ma mi avvisa: "Questa persona il 50% delle persone non la sopporta, l'altro 50% la adora - con lei non ci sono vie di mezzo."
È il 4 agosto, l'indomani Sebi compie 3 anni. Mi scoccia un po' chiamare questa persona in pieno agosto, ma non ho alternative. Decido di chiamare. Risponde una voce decisa, non capisco ancora se gentile o dura – mi chiedo in che 50% rientrerò. Le spiego la situazione e lei è disponibile, mi propone di incontrarci alla scuola l'indomani. Chiedo un orario che non stia troppo in mezzo alla giornata perché è il compleanno di Sebi e quel giorno è per lui. Lei mi dice: "Ah no - assolutamente no allora, facciamo dopodomani ma posso solo il mattino perché poi il pomeriggio parto." Già intuisco lo spessore di questa donna.
La mattina del 6 agosto arrivo in anticipo di un quarto d'ora, con una cartelletta piena di documenti. Vedo arrivare una macchina, parcheggia sul piazzale della chiesa, deduco si tratti di Veronica. La vedo scendere: tacco da vertigine, bionda, decisa. Mi sorride, mi presento e insieme entriamo nell'edificio che sarà poi per 4 anni il luogo della formazione della prima infanzia di Sebi.
Ci sediamo nel suo ufficio e le spiego la nostra storia. Mi chiede i documenti necessari, prendo la mia cartelletta e, nel totale caos, lei mi appoggia la mano sulla cartelletta e chiede: "Posso?" Sollievo. Scartabella pochi secondi, prende due o tre fogli e mi dice: "C'è tutto." Mi consegna la documentazione dell'asilo, il regolamento, la lista delle cose che servono, mi presenta il progetto dell'anno scolastico. Mi rassicura, dicendo che posso compilare l'iscrizione con calma, ma io sono già convinta e la compilo lì. Erano due settimane che ogni sguardo che incontravo mi trasmetteva compassione o desolazione. Ma per lei non era così, Sebi per lei non era solo "un iscritto" – era una sfida. Per la prima volta ho visto quella scintilla nei suoi occhioni chiari. Mi dice: "Io credo sia davvero una fortuna poter cominciare un percorso con un bambino che a 3 anni ha già una diagnosi - questo ci dà la possibilità di lavorare per 3 anni senza sprecare i primi anni a dover far rendere conto la famiglia che forse c'è qualche problema." Ho capito che ero nel 50% delle persone che l'adoravano: con lei non ci si siede a piangere, con lei si lavora affinché si crei una condizione di benessere. Esco sollevata e torno a casa: abbiamo una scuola per Sebi.
Passa agosto e non sento più nulla. Intanto prendo i grembiulini e il necessario per Sebi, poi arriva la convocazione per la riunione del 2 settembre. Ci troviamo nel salone, riconosco qualche genitore. Presentano lo staff, le regole per l'entrata e l'uscita (le scuole erano chiuse da febbraio causa Covid). Mi sento un pesce fuor d'acqua, si parla dei bimbi che passano dalla primavera all'infanzia, si raccomanda che siano spannolinati, la scuola comincerà il 7 settembre. Penso a Sebi: non sa nemmeno bere dal bicchiere se non c'è un beccuccio, non parla, dice solo "NO" a ogni cosa e "MAMMA" a ogni persona. Alla fine della riunione vado verso Veronica per salutarla e, sentendo dalle mie conoscenti che il sostegno è un miraggio per i primi mesi, le dico: "Immagino che Sebi comincerà più avanti?" Di nuovo quella scintilla: "Assolutamente no, Sebastian comincerà il 7 con tutti gli altri. Ho trovato la persona giusta e te la farò incontrare questa settimana." Il 4 settembre conosco Denise, giovanissima e dolcissima, consapevole di imbarcarsi in un compito importante. Le spiego le peculiarità di Sebi, condivido qualche strategia imparata durante il ricovero e sono contenta, ho la certezza che questa sarà una buona squadra.
Il 7 settembre lascio Sebi a Denise, che ci aspetta alla porta – i genitori non possono entrare. Sebi non ha mai visto né Denise né l'edificio, quel musetto spaesato mentre entra non lo dimenticherò mai. Passano un paio d'ore e mi arriva una foto da Veronica: lui sembra tranquillo, con il suo ciucciotto, i suoi tanto amati straccetti, sta giocando con un passeggino. Il giorno dopo va volentieri. La sera del terzo giorno siamo a cena e Sebi prende un bicchiere e beve, come se nulla fosse. Dopo un mese e mezzo è senza pannolino. Il tempo passa e le parole fioccano. Cominciano a svilupparsi le sue prime simpatie. Denise mi aggiorna sui legami, su ciò che gli piace, su come migliora il linguaggio e l'interazione.
Arriva marzo e Sebi è stato confermato per il percorso di terapia triennale NOAH, gestito dall'istituto "La Nostra Famiglia" nella sede di Castiglione Olona. Il percorso prevede un lavoro che, oltre alle terapie, coinvolge la famiglia e la scuola. La collaborazione comincia e i progressi sono grandissimi.
Arriva dicembre 2021, l'asilo è sconvolto da una grande perdita, il sig. Luciano. Veronica chiede alle famiglie di grandi e mezzani chi è disposto a mandare i bimbi al funerale che si terrà nella chiesa accanto. Per me non ci sono problemi, ma mi chiedo se Sebi possa creare problemi durante la cerimonia. Sento Veronica e, ancora una volta, lei mi stupisce dicendo che, se per me non è un problema, lo porterà lei e valuterà al momento. Ricordo bene questo episodio perché è stata la prima volta che Sebi mi ha raccontato un'esperienza. Quando l'ho visto la sera non sapevo se fosse andato o meno, allora gli ho chiesto: "Com'è andata oggi a scuola?" E lui mi ha raccontato che sono stati in un posto buio con le candele, che bisognava stare in silenzio e c'era della musica e un signore che ha raccontato una storia che forse era quella di Cappuccetto Rosso. Ancora una volta, Sebi ha dimostrato di essere all'altezza – e ancora una volta Veronica aveva vinto credendo in lui.
Passa un altro anno con il coinvolgimento della scuola nelle terapie di Sebi e verso la fine dell'anno la neuropsichiatra del centro ci convoca e ci propone di valutare la possibilità di far fare a Sebastian un anno di fermo presso la scuola dell'infanzia, non tanto perché non sia pronto per la primaria, quanto per l'ambiente estremamente favorevole che si era creato in collaborazione con la sua scuola e i grandi progressi che stava facendo. Parlo con Veronica e decidiamo di chiedere il fermo. Alla recita di Natale si apre il sipario e Sebi è lì, vestito da San Giuseppe, che usa il microfono e parla con voce chiara e scandita. Ha mantenuto il segreto sul ruolo importante che avrebbe ricoperto nella recita. Finisce l'anno scolastico e lui partecipa alla recita con i grandi, ma non prende il diploma. È un momento un po' triste per lui, ma lo supera subito. Si ricomincia con il quarto ed ultimo anno. Fin dai primi giorni stringe una bellissima amicizia con Samu, e le giornate a scuola proseguono serenamente. Un giorno prende una spezia dal cassetto e legge: "CAN-NEEE-LLA… mamma, c'è scritto Cannella."
Si avvicina la fine del percorso di terapia e vengo chiamata per la restituzione. Uno di quei momenti in cui sei così incredulo che nei giorni successivi ti chiedi se hanno davvero detto quello che hai sentito: "Sebastian ha raggiunto le competenze dei suoi coetanei in tutte le aree, in alcune anche qualcosa in più."
Sabato c'è stata la festa del diploma – l'apice di un traguardo che chi ci ha lavorato sa quanto è stato una scommessa, quanta fiducia è stata costantemente accordata a mio figlio, quante piccole lotte, quanto d'esempio è stato questo percorso per tutti quei genitori che hanno paura di vedere. Quella che quattro anni fa per Veronica è stata una sfida che ha accolto e non ha mai abbandonato è oggi, senza alcun dubbio, uno dei suoi più bei successi. Avere una persona di riferimento di questo calibro è un privilegio e un seme di speranza per tutti quei bimbi con delle difficoltà. Un vanto per ogni scuola, un appoggio impagabile per le famiglie, uno sguardo concreto al futuro.
